Le opzioni di prevenzione secondaria della embolia criptogenetica nei pazienti con forame ovale pervio sono rappresentate dalla somministrazione di farmaci antitrombotici o dalla chiusura percutanea del forame ovale pervio.
Uno studio ha valutato se la chiusura sia superiore alla terapia medica.
Lo studio multicentrico e di superiorità ha coinvolto 29 Centri in Europa, Canada, Brasile e Australia e prevedeva che le persone incaricate di valutare gli endpoint non fossero a conoscenza dei gruppi di assegnazione.
Pazienti con un forame ovale pervio e ictus ischemico, attacco ischemico transitorio ( TIA ) o un evento tromboembolico periferico sono stati assegnati in maniera casuale a chiusura del forame ovale pervio con Amplatzer PFO Occluder o a ricevere terapia medica.
L’endpoint primario era un composito di decesso, ictus non-fatale, TIA o embolia periferica.
Le analisi sono state effettuate sui dati della popolazione per intention-to-treat.
La durata media del follow-up è stata di 4.1 anni nel gruppo chiusura e 4.0 anni nel gruppo terapia medica.
L’endpoint primario si è presentato in 7 dei 204 pazienti ( 3.4% ) nel gruppo chiusura e in 11 dei 210 pazienti ( 5.2% ) in quello terapia medica ( hazard ratio per chiusura vs terapia medica, HR=0.63; P=0.34 ).
L’ictus non-fatale si è manifestato in 1 paziente ( 0.5% ) nel gruppo chiusura e in 5 pazienti ( 2.4% ) nel gruppo terapia medica ( HR=0.20; P=0.14 ) e il TIA in 5 pazienti ( 2.5% ) e in 7 pazienti ( 3.3% ), rispettivamente ( HR=0.71; P=0.56 ).
In conclusione, la chiusura del forame ovale pervio per la prevenzione secondaria della embolia criptogenetica non ha portato a una riduzione significativa nel rischio di eventi embolici ricorrenti o decesso rispetto alla terapia medica.
Meier B et al, N Engl J Med 2013; 368: 1083-1091
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